18 de enero de 2016
Papa Francesco incontra la comunità ebraica nel Tempio maggiore di Roma Siamo diventati amici e fratelli
Papa Francesco incontra la comunità ebraica
nel Tempio maggiore di Roma
Siamo diventati amici e fratelli
La violenza dell’uomo sull’uomo è in
contraddizione con ogni religione
pagina 4 lunedì-martedì 18-19 gennaio 2016 L’OSSERVATORE
ROMANO lunedì-martedì 18-19 gennaio 2016 pagina 5
«Da
nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli». Con queste parole Papa
Francesco si è rivolto alla comunità ebraica riunita nel Tempio maggiore di
Roma, dove si è recato in visita nel pomeriggio di domenica 17 gennaio. Di
seguito il discorso pronunciato dal Pontefice durante l’incontro nella sinagoga.
Cari
fratelli e sorelle,
sono
felice di trovarmi oggi con voi in questo Tempio Maggiore. Ringrazio per le loro
cortesi parole il Dottor Di Segni, la Dottoressa Dureghello e l’Avvocato
Gattegna; e ringrazio voi tutti per la calorosa accoglienza, grazie! Todà
rabbà!
Nella
mia prima visita a questa Sinagoga come Vescovo di Roma, desidero esprimere a
voi, estendendolo a tutte le comunità ebraiche, il saluto fraterno di pace di questa
Chiesa e dell’intera Chiesa cattolica.
Le
nostre relazioni mi stanno molto a cuore. Già a Buenos Aires ero solito andare nelle
sinagoghe e incontrare le comunità là riunite, seguire da vicino le feste e le commemorazioni
ebraiche e rendere grazie al Signore, che ci dona la vita e che ci accompagna nel
cammino della storia. Nel corso del tempo, si è creato un legame spirituale, che
ha favorito la nascita di autentici rapporti di amicizia e anche ispirato un impegno
comune. Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli
e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e
apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraicocristiano
c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del
cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo
stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr. Dich. Nostra
aetate, 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro.
Con
questa mia visita seguo le orme dei miei Predecessori. Papa Giovanni Paolo II venne
qui trent’anni fa, il 13 aprile 1986; e Papa Benedetto XVI è stato tra voi sei
anni or sono. Giovanni Paolo II, in quella occasione, coniò la bella
espressione “fratelli maggiori”, e infatti voi siete i nostri fratelli e le
nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo ad un’unica
famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo
popolo. Insieme, come ebrei e come cattolici, siamo chiamati ad assumerci le
nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo,
anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali. Mi
auguro che crescano sempre più la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima
tra le nostre due comunità di fede. Per questo è significativo che io sia venuto
tra voi proprio oggi, 17 gennaio, quando la Conferenza Episcopale Italiana
celebra la «Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei » .
Abbiamo
da poco commemorato il 50º anniversario della Dichiarazione Nostra aetate del
Concilio Vaticano II, che ha reso possibile il dialogo sistematico tra la Chiesa
cattolica e l’ebraismo. Il 28 ottobre scorso, in Piazza San Pietro, ho potuto
salutare anche un gran numero di rappresentanti ebraici, e mi sono così
espresso: «Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria
trasformazione che ha avuto in questi cinquant’anni il rapporto tra cristiani ed
ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e
benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il
Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: “sì”
alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo,
e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano». Nostra
aetate ha definito teologicamente per la prima volta, in maniera esplicita,
le relazioni della Chiesa cattolica con l’ebraismo. Essa naturalmente non ha risolto
tutte le questioni teologiche che ci riguardano, ma vi ha fatto riferimento in maniera
incoraggiante, fornendo un importantissimo stimolo per ulteriori, necessarie riflessioni.
A questo proposito, il 10 dicembre 2015, la Commissione per i rapporti religiosi
con l’ebraismo ha pubblicato un nuovo documento, che affronta le questioni teologiche
emerse negli ultimi decenni trascorsi dalla promulgazione di Nostra aetate.
Infatti, la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico merita di essere
sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono
impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e
perseveranza. Proprio da un punto di vista teologico, appare chiaramente l’inscindibile
legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi,
non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando
la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevo cabilità dell’Antica
Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele.
Insieme
con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che
il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è
ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità
intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre,
violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a
rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo
è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in partico- lare
con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio.
Il quinto comandamento del Decalogo dice: «Non uccidere» (Es 20, 13).
Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati
a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso. Ogni essere umano,
in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua
origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza,
come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla
loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più
bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita
è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la
morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e
della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare
in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte
del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita.
Il
popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la
persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei
milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state
vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che
voleva sostituire l’uomo a Dio. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e
bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero
ricordarli con il cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro
angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci
deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna
che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in
difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza ad
ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a
voi, che siete qui presenti.
Cari
fratelli maggiori, dobbiamo davvero essere grati per tutto ciò che è stato
possibile realizzare negli ultimi cinquant’anni, perché tra noi sono cresciute
e si sono approfondite la comprensione reciproca, la mutua fiducia e l’amicizia.
Preghiamo insieme il Signore, affinché conduca il nostro cammino verso un
futuro buono, migliore. Dio ha per noi progetti di salvezza, come dice il
profeta Geremia: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo — oracolo
del Signore —, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro
pieno di speranza» (Ger 29, 11). Che il Signore ci benedica e ci
protegga. Faccia splendere il suo volto su di noi e ci doni la sua grazia.
Rivolga su di noi il suo volto e ci conceda la pace (cfr. Nm 6, 24-26). Shalom
alechem!
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