12 de octubre de 2013
L'eccidio cominciò molto prima della guerra civile
L'eccidio cominciò molto prima della guerra civile
La cappella di San José a Siviglia distrutta nel 1931
di VICENTE CÁRCEL ORTÍ
Quando si parla dei martiri spagnoli degli anni Trenta del XX secolo, li
si chiama erroneamente “martiri della guerra civile”. Erroneamente perché i
primi martiri ci furono già nell’ottobre del 1934, durante la rivoluzione delle
Asturie. Mancavano allora quasi due anni all’inizio della guerra civile e i
martiri non avevano quindi nulla a che fare con essa. Ma c’è chi continua a collegarli
con quel conflitto armato in cui ci furono “caduti in azioni di guerra” in
entrambi gli schieramenti, perché lottavano sul fronte, e ci furono anche,
nelle retroguardie delle due aree, “vittime della repressione politica”. Gli
uni e gli altri meritano il massimo rispetto e vengono ricordati come eroi e
modelli da imitare dai seguaci delle rispettive ideologie.
Ma ci furono anche “martiri della persecuzione religiosa”, perché durante
la guerra civile, in tutta l’area repubblicana, il culto cattolico fu proibito
per quasi tre anni. La Chiesa ufficialmente non esisteva. Gli ecclesiastici e
le religiose furono uccisi perché erano uomini o donne di Chiesa, e per lo
stesso motivo furono assassinati uomini e donne dell’Azione Cattolica e di altri
movimenti ecclesiali, ossia perché erano cattolici praticanti. Ma nessuno di loro
fu implicato in lotte politiche o ideologiche, e tanto meno vi prese parte.
La Chiesa li eleva agli onori degli altari con il titolo di martiri perché
erano persone che lavoravano pacificamente in parrocchie scuole, collegi,
ospedali, ospizi e così via. Un’opera sociale immensa, mai abbastanza
riconosciuta alla Chiesa, interrotta brutalmente da quella persecuzione
religiosa, senza precedenti nella storia della Spagna. Quelle
persone non persero la vita in azioni di guerra e non furono neppure vittime
della repressione politica. Furono semplicemente testimoni di Cristo e quindi
“martiri della fede durante la persecuzione religiosa”. In piena guerra civile spagnola
questi concetti risultarono ben chiari sia a Pio XI che ai suoi successori, fino
a giungere a Papa Francesco. Con le beatificazioni del 13 ottobre, saranno 1.512
i martiri beatificati e 11 quelli canonizzati. I dati che abbiamo, sebbene non
del tutto esatti, rivelano l’entità di quella persecuzione: dei 6.832 morti,
4.184 appartenevano al clero secolare, includendo dodici vescovi (nove sono già
stati beatificati) e un amministratore apostoli-CO 2.365 erano religiosi e 283
religiose. Non è possibile fornire cifre definitive dei laici cattolici uccisi per
motivi religiosi perché non esistono statistiche affidabili, ma probabilmente furono
diverse centinaia.
A
richiamare l’attenzione è innanzitutto l’età. Per
esempio, dei 26 religiosi passionisti di Daimiel, 15 erano studenti tra i 18 e
i 21 anni. Lo stesso vale per i Fratelli di San Giovanni di Dio, i claretiani di
Barbastro, i Fratelli delle Scuole Cristiane di Turón e di Almería, gli agostiniani
di El Escorial, i francescani, i domenicani, i trinitari, i carmelitani, gli
scolopi, i claretiani salesiani, i maristi e così via. I più giovani furono
l’aspirante salesiano Federico Cobo e lo studente carmelitano Pedro Tomás
Prati, entrambi sedicenni.
Questi dati sono impressionanti, ma lo sono ancora di più le opinioni di
alcuni responsabili della tragedia. Alla fine dell’agosto del 1936, un alto
dirigente catalano, alla domanda di una redattrice del giornale francese «L’Oeuvre»
sulla possibilità di riavviare il culto cattolico in Spagna rispose: «Oh, il
problema non si pone neppure, perché tutte le chiese sono state distrutte». Andrés
Nin, capo del Partito operaio di unificazione marxista, in un discorso pronunciato
a Barcellona l’8 agosto 1936, non esitò a dichiarare: «C’erano molti problemi
in Spagna (...) Il problema della Chiesa lo abbiamo risolto completamente, andando
alla radice: abbiamo soppresso i sacerdoti, le chiese e il culto ». José Díaz,
segretario generale della sezione spagnola della III Internazionale, il 5 marzo
1937 disse a Valencia: «Nelle province in cui dominiamo, la Chiesa non esiste più.
La Spagna ha superato di molto l’opera dei Soviet, perché la Chiesa, in Spagna,
è ora completamente annientata».
La Statua del Sacro Cuore al Cerro de los Ángeles, vicino Madrid,
fucilata dai miliziani nel 1936
Secondo
Hugh Thomas, «in nessun altro momento della storia della Spagna, e forse
persino del mondo, si è manifestato un odio così passionale contro la religione
e tutte le sue opere. Molti di quei crimini furono accompagnati da una
frivola e sadica freddezza» (The Spanish Civil War, 1961). Pierre Broué
ed Emile Témine riconoscono il carattere religioso della persecuzione in quanto
«in pratica la proibizione del culto si estende all’uso privato di immagini e
di oggetti cultuali, come i crocifissi, i messali (...). Le milizie
rivoluzionarie della retroguardia cercano quanti li possiedono e procedono ad
arrestarli» (La révolution et la guerre d’Espagne, Paris, 1961, 1, p.
Secondo
Hugh Thomas
in
nessun altro momento della storia
della
Spagna e forse persino del mondo
si
è manifestato
un
odio tale contro la religione
132). George Orwell, che durante la guerra si recò a Monflorite (Huesca)
e visitò il cimitero, disse: «Tutto era pieno di cespugli e di erbacce, oltre
alle ossa umane se per il paese. Ma
la cosa più sorprendente era l’assenza quasi totale d’iscrizioni religiose
(...) In qualche tomba c’era una piccola croce o una sommaria allusione al
cielo; spesso era stata cancellata con uno scalpello da qualche zelante ateo». Gabriele
Ranzato, che si propone di smontare molte leggende che avvolgono ancora il
conflitto spagnolo del 1936, afferma che l’errore più drammatico commesso dalla
sinistra spagnola fu il suo atteggiamento verso la Chiesa, e nelle sue monografie
L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini
(1931-1939) ( Torino, Bollati Boringhieri, 2004), e La Grande paura del
1936. Come la Spagna precipitò nella guerra civile (Bari-Roma, Laterza,
2011), documenta come le sinistre spagnole scatenarono contro di essa «una vera
e propria persecuzione religiosa ».
Quando
scoppiò la guerra civile già erano state date alle fiamme 239 chiese, erano
state distrutte numerose opere d’arte, erano stati violati tabernacoli, gettate
per terra ostie consacrate poi calpestate, disseppellite salme di vescovi e
monache, imposte tasse ai funerali cattolici, impendendo in molti casi la loro
celebrazione, proibiti i simboli cattolici sulle tombe, equiparata la settimana
santa a una riunione clandestina, con i conseguenti arresti, impedite le prime
comunioni dei bambini, lasciati liberi per le strade cani con una croce appesa al
collare.
Nei
suoi libri Ranzato non mostra mai simpatia per la causa e l’opera del vincitore
della guerra civile, ma conclude la sua importante ricerca definendo
«discutibile» il perpetuarsi dell’immagine della Spagna della primavera del 1936
come «un Paese di democrazia liberale, capace di tenere il suo sistema
politico-economico al riparo da qualsiasi sollevazione rivoluzionaria e che fu
condotto alla guerra civile solo da una sollevazione militare reazionaria e
fascista ».
Queste
poche e misurate parole ci fanno pensare che la storia della Spagna degli anni
che precedettero la seconda guerra mondiale, e che in parte la determinarono,
inizia a essere scritta solo ora alla luce di nuovi documenti.
La
persecuzione religiosa repubblicana iniziò molto prima della guerra civile e
non nacque come un’esigenza per combattere una Chiesa che, solo a partire dal
luglio del 1937, appoggiò apertamente una delle parti del conflitto perché
nell’altra essa aveva smesso di esistere e si continuava a uccidere gli
ecclesiastici e i cattolici praticanti. La persecuzione cominciò in modo
subdolo nel maggio del 1931, con chiese e conventi dati alle fiamme; continuò
con una legislazione apertamente faziosa; proseguì nell’ottobre del 1934 nelle
Asturie e in altri luoghi della Spagna, e terminò con l’ecatombe di sacerdoti,
religiosi e cattolici tra il 1936 e il 1939. Viene quindi meno la tesi di
quanti continuano a sostenere che la persecuzione religiosa fu la risposta
della violenza anticlericale alla sollevazione militare del 18 luglio.
L’atteggiamento
conciliante e aperto al negoziato della Chiesa dinanzi alla Repubblica, sin dal
primo momento, è ampiamente dimostrato dalla documentazione vaticana che sto
sistematicamente pubblicando (La II República y la Guerra Civil en el
Archivo Secreto Vaticano, Madrid, Bac, 2011-2012, 3 volumi). Pio XI la
riconobbe subito, nell’aprile del 1931, e mantenne le relazioni diplomatiche
fino alla metà del 1938. Domandò ai vescovi, ai sacerdoti e ai cattolici di
accettarla e di collaborare con essa per il bene comune. Ma i governanti
repubblicani scatenarono molto presto quell’attacco frontale che finì in
tragedia.
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