10 de noviembre de 2013
Per non rinunciare alla speranza della pace nel Vicino Oriente
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L’OSSERVATORE ROMANO domenica 10 novembre 2013
Intervento della Santa Sede all’Onu
Per non rinunciare
alla speranza della pace
nel Vicino Oriente
Pubblichiamo
la nostra traduzione italiana dell’intervento pronunciato, il 7 novembre a New
York, dall’arcivescovo Francis Chullikatt, osservatore permanente della
Santa Sede presso le Nazioni Unite, durante il Comitato speciale per politica e
decolonizzazione della sessantottesima Assemblea generale dell’Onu. Punto 51: l’agenzia delle Nazioni Unite per il
Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa) nel Vicino Oriente.
Signor
Presidente,
dopo
aver esaminato con attenzione il Rapporto del Commissario Generale dell’Agenzia
delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi
nel Vicino Oriente (Unrwa) (A/68/13) e il suo discorso in occasione dell’incontro
della Commissione consultiva dell’Unrwa, che si è svolto ad Amman, in
Giordania, il 16 giugno 2013, la mia Delegazione desidera attirare l’attenzione
sulle opinioni da lui espresse e sulla chiarezza delle soluzioni che ha proposto
per quella che è diventata una situazione molto complessa per i profughi
palestinesi nella regione.
In tale regione, patria delle prime comunità
cristiane, la Chiesa cattolica condivide le stesse dure realtà sul campo che
l’Unrwa deve affrontare quotidianamente. Lavorando insieme a generosi enti
donatori degli Stati Uniti, della Germania, del Giappone, della Spagna, dei
Paesi Bassi, dell’Irlanda, del Regno Unito e di altre nazioni, la Santa Sede
fornisce educazione, assistenza sanitaria e servizi sociali alla popolazione,
come anche strutture per la riabilitazione di coloro che sono rimasti feriti
nei conflitti. Forniamo tutto ciò sulla base del bisogno
e non del credo, a tutte le vittime dell’instabilità politica, economica e
sociale della regione. Le nostre preoccupazioni vanno oltre questi servizi di
base, proprio come quelle dell’Unrwa, in quanto questi conflitti distruggono
case, lasciando i rifugiati senza un tetto, senza lavoro e indifesi. Quando
coloro che guadagnano lo stipendio per la famiglia sono debilitati,
imprigionati o uccisi, le famiglie povere chiedono aiuto alle Ong che operano accanto
all’Unrwa in quest’area tormentata.
Signor
Presidente,
le
preoccupazioni del Commissario Generale, illustrate nelle sue relazioni all’Assemblea
Generale e alla Commissione consultiva dell’Unrwa, sono le stesse di quelle della
Santa Sede, dovendoci confrontare con una presenza sempre più ridotta di
comunità tradizionali cristiane proprio nel luogo in cui il cristianesimo è
nato. Sia per l’Unrwa, sia per la Santa Sede, l’onere finanziario per offrire
servizi a comunità di rifugiati frequentemente dislocate costituisce un problema
crescente, richiedendo maggiori finanziamenti dai Paesi donatori. Le attuali
realtà finanziarie ed economiche globali, tuttavia, impediscono l’aumento dei
finanziamenti, poiché i Paesi donatori lottano con i debiti e gli alti livelli di
disoccupazione, in particolare quella giovanile.
Il
rinnovato processo di pace porta qualche speranza in questa cupa visione. Una
pace bona fide tra israeliani e palestinesi creerebbe possibilità di
investimenti economici, invece di gravare sui Paesi donatori e sulle agenzie
umanitarie con maggiori richieste di altri finanziamenti. Un esito positivo
della conferenza di pace per la Siria, prevista a Ginevra, darebbe ulteriore sollievo
alla sofferenza delle comunità di profughi palestinesi, che si trovano ad
essere nuovamente rifugiati a causa dei teatri di guerra che circondano sette
dei dodici campi profughi palestinesi dell’Unrwa in Siria.
La
mia delegazione esorta il Quartetto e tutti coloro che partecipano alla ripresa
del processo di pace a non lesinare sforzi per facilitare i negoziati tra
palestinesi e israeliani. L’obiettivo
deve essere quello di assicurare, attraverso negoziati e compromessi
ragionevoli, due stati fattibili e stabili che diano a entrambe le parti uno
stato indipendente e sicuro per la loro gente. Non è un compito semplice, alla luce
delle diversità politiche esistenti in ognuna delle comunità in conflitto e dei
64 tragici anni di interminabili scontri tra di esse.
Signor Presidente, Papa Francesco il 17 ottobre ha incontrato
il presidente palestinese Mahmoud Abbas, esprimendo l’auspicio che la ripresa
di «tale processo produca i frutti desiderati per trovare una soluzione giusta
e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e
urgente ». Ha inoltre espresso la speranza che «le
Parti prendano con determinazione decisioni coraggiose a favore della pace con
il sostegno della Comunità internazionale » (Vatican Information Service,
anno XXII – n. 199, 17.10.2013).
Pertanto,
la mia Delegazione desidera sottolineare che, in questi negoziati di pace, una
soluzione duratura deve comprendere lo status della nostra Città Santa,
Gerusalemme. La Santa Sede sostiene fermamente
«misure internazionalmente garantite per assicurare la libertà di religione e
di coscienza dei suoi abitanti», il loro legittimo diritto alla proprietà, così
come «l’accesso permanente, libero e senza ostacoli ai Luoghi Santi da parte dei
fedeli di ogni religione e nazionalità » (cfr. A/RES/ES 10/12).
Signor Presidente,
sarebbe una grande negligenza da parte della mia
Delegazione se non esprimesse qualche parola di apprezzamento ai governi del Libano
e della Giordania, per la loro continua collaborazione con l’Unrwa
nell’ospitare i rifugiati palestinesi, e che ora stanno eroicamente facendo
fronte al flusso di profughi della Siria e della violenza settaria in Iraq. Le
grida umanitarie di queste comunità di rifugiati non devono trovare orecchie
sorde. La pacificazione deve prendere il posto della futile e controproducente logica
della violenza e della guerra. Non rinunciamo mai alla speranza che
l’inesauribile ricerca della pace, tanto necessaria e desiderata, alla fine
sorgerà in quella terra tanto sacra a molti.
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