18 de septiembre de 2008

Israele in cerca di una vera leadership

L'Osservatore Romano - 17 settembre 2008

Israele in cerca di una vera leadership

di Luca M. Possati
"Il sogno del Grande Israele è sfumato; una cosa del genere non esiste più". Le parole di Ehud Olmert, tra le ultime pronunciate in qualità di primo ministro, trasmettono l'essenza del clima che si respira nel mondo politico israeliano alla vigilia delle elezioni primarie del Kadima, il partito che guida l'attuale coalizione governativa. Israele non cerca soltanto una nuova leadership, ma anche risposte concrete in un momento molto delicato sul piano interno ed esterno. Chiunque uscirà vincitore, ammesso che riesca a tenere insieme la maggioranza, avrà un compito difficilissimo: evitare un vuoto politico dalle conseguenze disastrose, ridare slancio a una classe dirigente in crisi e assicurare un rinnovato impegno nella lotta al terrorismo e nella pace, nonostante l'ormai evidente fallimento delle intese di Annapolis. Da una parte, c'è la questione iraniana, dall'altra, Gaza e la fragile tregua con gli estremisti di Hamas. I colloqui indiretti con Damasco si sono arenati dopo le dimissioni del capo negoziatore israeliano. E intanto, resta aperto un interrogativo nient'affatto secondario: quale sarà la linea politica della prossima presidenza americana? I circa 73.500 membri del Kadima, fondato dall'ex premier Ariel Sharon nel 2005, dopo la sua uscita dal Likud, la cui maggioranza si era opposta al ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza, sono chiamati a scegliere fra tre principali candidati: Avi Dichter, ministro della sicurezza ed ex capo dello Shin Bet, distintosi sotto le armi nella guerra del Kippur; Saul Mofaz, attuale ministro dei trasporti e vicepremier, con un passato da generale e capo di stato maggiore; l'avvocato Tzipi Livni, titolare degli Esteri e capo negoziatore nelle trattative con l'Olp (l'Organizzazione per la liberazione della Palestina), figlia di due militanti dell'Irgun ed ex agente del Mossad. Tuttavia, nonostante l'esperienza e la formazione di ciascuno, qual è la loro effettiva capacità decisionale? Qual è la loro visione per il futuro di Israele? E come sapranno gestire il Paese su questa strada in un momento tanto delicato? Secondo gli analisti, nessuno dei candidati alla guida del Kadima può vantare un passato politico di primo piano, né contare su una popolarità tale da consentirgli di portare avanti in maniera efficace il processo di pace e garantire la sicurezza degli israeliani. Anche se ognuno cerca di accreditarsi come l'autentico erede politico di Sharon, le prospettive sono ben diverse. Politicamente cresciuta nel Likud, Livni è stata inserita nella lista delle cento persone più influenti nel mondo di "Time", che l'ha definita "donna di convinzione, di intelligenza e di pace". Per il "Jaazeera International", invece, sarebbe troppo "politicamente inesperta" e "incapace di prendere decisioni". Seconda donna nella storia alla guida della diplomazia israeliana, ha sempre appoggiato la linea di Sharon - il cosiddetto piano di "convergenza" o "riposizionamento" della bilancia politica israeliana, che si è tradotto concretamente nel "disimpegno" da parte dei Territori e nella costruzione della barriera di separazione - e ha sostenuto l'intervento contro Hezbollah nel 2006, subendo però le pesanti critiche dei media per essersi rifiutata di dimettersi dopo la divulgazione delle prime conclusioni della Commissione Winograd. Nei suoi discorsi pubblici ha più volte evocato "la necessità di arrivare a un accordo con i palestinesi secondo la soluzione due popoli per due Stati", senza mai scendere nei dettagli dell'accordo. Saul Mofaz, militare di origine iraniana, ha impostato tutta la sua campagna elettorale sul tema della sicurezza. "Sarò primo ministro di Israele - ha detto in uno dei suoi ultimi interventi - perché il Paese ha bisogno di solidità nazionale contro tutti coloro che vogliono annientarci". Nei negoziati con i palestinesi "bisogna andare avanti", ha ammesso. Ma a quali condizioni? "Sull'unità di Gerusalemme non possiamo e non dobbiamo fare concessioni". Dura la posizione anche nei confronti di Teheran, definito "la radice di ogni male". Il programma nucleare iraniano - ha ripetuto in una recente intervista - "è una minaccia all'esistenza di Israele". Se le sanzioni non otterranno gli effetti sperati, un attacco israeliano potrebbe diventare "inevitabile". Linea dura anche quella seguita da Avi Dichter, artefice della lotta ai gruppi armati palestinesi fino al 2005 e considerato il pianificatore dell'uccisione di Ahmed Yassin, fondatore di Hamas. Dichter ha puntato molto sulla necessità di colpire il nemico siriano e di neutralizzare la minaccia di Hezbollah. "Non ci sono limiti al raggio delle nostre operazioni - ha detto in un'intervista - colpiremo ovunque necessario per eliminare gli arsenali missilistici di Hezbollah", definendo il movimento guidato da Hassan Nasrallah "un esercito di terroristi". Alla domanda se sia possibile un nuovo attacco agli estremisti libanesi, ha risposto: "Il terrorismo non si può vincere, ma si può ridimensionare. Qualsiasi mossa è lecita per colpire Hezbollah". Ehud Olmert, al quale va comunque riconosciuto il merito di aver rilanciato il dialogo con i palestinesi dopo sette anni di Intifada, non si è dimesso al tempo delle critiche per la gestione della guerra in Libano. Sono state invece le accuse di corruzione, frode e abuso d'ufficio - con la richiesta di incriminazione avanzata dalla polizia lo scorso 7 settembre - a indurlo a concludere la sua esperienza da primo ministro. Olmert è stato interrogato per ben sette volte in merito a presunti fondi - circa 150.000 dollari - che avrebbe ricevuto illegalmente nei tredici anni prima di diventare premier, dunque come sindaco di Gerusalemme e poi come ministro dell'industria, da un uomo di affari americano, Morris Talansky. Un altro filone di indagine riguarderebbe invece le spese di viaggi che il premier si sarebbe fatto rimborsare diverse volte da varie istituzioni senza comunicare i rimborsi già ottenuti. Ora la decisione finale spetta al Procuratore generale Menachem Mazuz, l'unico che può incriminare un capo di Governo israeliano. I legali di Olmert hanno comunque ricordato che nelle tre volte in cui la polizia ha raccomandato l'incriminazione di un primo ministro l'indicazione non è mai stata accolta. Chi vincerà le primarie del Kadima avrà il compito di tenere insieme l'attuale coalizione di maggioranza, sempre ammesso che gli altri partner, tra cui anzitutto i laburisti di Ehud Barak, decidano di proseguire l'esperienza di Governo e di portarla fino alla scadenza naturale del novembre 2010. Secondo gli analisti, ne avrebbero tutto il vantaggio. Le previsioni dicono che eventuali politiche anticipate favorirebbero il Likud di Benjamin Netanyahu.