6 de marzo de 2013
Il diavolo, probabilmente
I mille travestimenti del male
Il diavolo, probabilmente
Dall’inizio della storia alla fine dei tempi il “compito”
degli angeli malvagi
L’OSSERVATORE
ROMANO giovedì 7 marzo 2013 –pág.4
di
TULLIO GREGORY
Nelle
varie manifestazioni del demonio nell’orizzonte Cristiano prevale sempre l’aspetto
mostruoso, orribile, terrificante delle forze del male, portando all’estremo
dell’assurdo e della nausea quella sconcertante esperienza del totalmente altro
che è alla radice del sentimento del sacro. Il demonio seduce perché tremendo, terribile,
presenza di una realtà numinosa che incombe sulla fragile creatura.
Raramente
si presenta in forme amichevoli e suadenti: come quando prende l’aspetto di una bella fanciulla per una più elementare
seduzione sessuale (era la demonizzazione del sesso) o quando assume forme di
santi monaci, di angelo del bene, persino della Vergine o di Cristo per
distrarre da pratiche religiose o mettere in crisi sicurezze di scelte o di
fede: ma anche in questi casi al di là della seduzione (che pure appartiene all’esperienza
del sacro), il diavolo, una volta smascherato, torna a presentarsi come
realmente è, orribile, tutto «laidezza efetore ».
Se
il mostruoso costituisce un elemento costante nelle manifestazioni del demonio
Il nero era tradizionalmente percepito come un colore demoniaco
Un simbolo così incisivo da arrivare fino a noi nel linguaggio comune e
nei messaggi pubblicitari
— dalla più antica letteratura apocalittica e agiografica alle leggende
popolari, ai poemi epici e cavallereschi neolatini e germanici e poi sempre
nelle varie rappresentazioni iconografiche fino ai tempi moderni — un’altra
caratteristica accompagna il diavolo come segno del diverso, del nemico: il
colore nero, la sua nigredo.
È
noto come il nero sia carico di connotazioni e riferimenti negativi nelle più
diverse culture, anche se nell’esperienza del sacro, del totalmente altro, è
possibile la compresenza di valori opposti: il nero delle tenebre infernali,
dell’abisso del male, può divenire simbolo della notte della non conoscenza al
vertice dell’ascesi mistica, contatto con l’assoluto.
Per
il nero tuttavia la connotazione negativa è prevalente: privazione di luce e di
colore, buio profondo e tempestoso, disordine e caos, assenza di punti di
riferimento, luogo del pericolo e della paura, realtà inafferrabile che incombe
sull’uomo accentuandone lo smarrimento creaturale. Nella cultura classica il nero è associato ai giorni
funesti, alla morte, agli inferi. Nell’esperienza giudeocristiana il demonio,
«principe delle tenebre» opposto alla «luce del mondo», si personifica nell’etiopeche,
per la sua nigredo , supera anche l’egizio, antico nemico del popolo eletto:
secondo i Settanta — e le traduzioni latine — gli etiopi sono fra gli avversari
sconfitti dal re messianico; sono gli abitanti del deserto (luogo proprio dei
demoni) «lontanissimi, agli estremi confini della terra [...] i più ripugnanti
fra gli uomini ».
Il
tema è presente in tutta la tradizione esegetica, agiografica e iconografica, facendo
coincidere la contrapposizione luce-tenebre con un serpeggiante razzismo e con
il rifiuto e la demonizzazione del diverso. Il demonio appare alla martire
Perpetua come «un egiziano di aspetto ripugnante »; «nere» (mèlana) sono
le vesti delle donne dalle spalle nude e dai capelli sciolti che, nel Pastore
di Erma, rappresentano le tentazioni demoniache, e «una donna turpissima, nell’aspetto
neppure egiziana, ma etiope, completamente nera», è la personificazione della virtus
Simonis nel sogno del senatore Marcello, secondo gli Acta Petri che
coniugano in un solo testo la negritudine demonica (nigritudo tua) con l’eresia
di Simone.
Come
niger puer si presenta il diavolo ad Antonio, come «fanciulla etiope»
all’eremita Pacone, sempre niger «come un etiope» è il diavolo che si
manifesta a Gregorio Magno, come ricorda ancora Jacopo da Varazze.
Quando
gli apostoli Giuda e Simone vollero dimostrare ai persecutori che i templi pagani
erano abitati dai demoni, al loro ordine, dal tempio del Sole e della Luna,
«davanti agli occhi di tutti, escono due tetri etiopi». Non diversamente nelle visioni
di Ildegarda la nigredo dei peccatori è riflesso della diabolica
nigredo, ed è sempre un «demone con l’aspetto di un piccolo nerissimo etiope»
quello che tormenta il monaco di cui parla Pietro di Cluny.
«Neri come carboni», gli immundi spiritus che
popolano l’inferno nella visione del cavaliere irlandese Tnugdal (XII secolo); «nera»
è la valle dell’Inferno dantesco, neri i demoni («angeli neri», «neri
cherubini»), «nero» il «ceffo» di Lucifero, seconindo una iconologia da tempo
consolidata.
Peraltro fu facile vedere nei mori saraceni — pagani
all’assalto della cristianità — i neri rappresentanti del diavolo: così nella Chanson
de Roland e in tutta la letteratura del genere i musulmani sono sempre neri
e senza Sole è il Paese dal quale provengono. Fra i più temibili avversari di
re Carlo e di Orlando è Chernublo: viene da una terra ove «non splende il Sole»
e «pietra non v’è che non sia tutta nera: dicono alcuni che i diavoli vi han
sede»; un altro saraceno, dal significativo nome Abisso, «in Dio non crede» ed
è «nero come la pece fusa». Anche il nero della pece infatti è colore
demoniaco: la «nigra caterva» che terrorizza Wetti di Reichenau nella sua
visione, versificata da Walafrido Strabone, è guidata da un «maestro nero come
la p ece».
La tematica come si vede è costante e ripetitiva
(presente quindi anche nei testi delle antiche letterature romanze e
germaniche), così incisiva da rimanere ben oltre Goya, fino a noi nel
linguaggio comune e nei messaggi pubblicitari.
Andrà ricordato che è sempre la reale presenza del
demonio a provocare pensieri insani, passioni intellettuali, capaci di mettere
in crisi una vita santamente vissuta. Sicché appare fuorviante la tendenza di
certa più recente storiografia volta a considerare le varie incarnazioni del
demonio una proiezione fantastica di stati d’animo, di paure ancestrali o inconsce,
facendo svanire nell’immaginario la presenza e l’attività del diavolo nella
vita quotidiana.
Vi è una stretta correlazione fra l’azione circa
nos del demonio e la disposizione interiore: «quando vengono, come ci
trovano, tali essi si atteggiano verso di noi; e quali desideri trovano in noi,
tali immagini essi formano», si legge nella Vita di Antonio; l’Historia
lausiaca distingue
Principe di questo mondo
Il ruolo di Satana nella cultura e nella spiritualità
cristiane, la sua presenza nella vita dei singoli e dei popoli non solo come
tentatore che induce gli uomini al peccato, ma come protagonista nella storia
della lotta continua fra il bene e il male: sono i temi del libro Principe
di questo mondo. Il diavolo in Occidente
(Bari, Laterza, 2013, pagine 79, euro 12)
— in distribuzione dal 7 marzo — di cui anticipiamo alcuni stralci. nettamente varie forme di tentazioni: quella
proveniente dalla «nostra carne», «dalle passioni attraverso i pensieri», e infine,
più temibile, dal «demonio in persona per cattiveria ».
Certo
le tentazioni più radicali e sconvolgenti sono quelle che il demonio riesce a
suscitare nel profondo dell’anima, non con presenze mostruose ma operando sui
sensi interni fino a condizionare pensieri e stati d’animo, dubbi sul senso della
propria vita religiosa, sulla correttezza nella pratica dei sacramenti, delle
preghiere, delle penitenze: il demonio insinua questi dubbi nell’anima del
fedele «per impacciargli la testa», inducendolo «in una tiepidezza, in tremore e
affanno di mente», nel «laccio della confusione», in modo da essere «privata
dell’allegrezza ed è fatta insopportabile a se medesima».
Così, con grande efficacia, Caterina da Siena delinea lo stato di crisi
che può cogliere l’anima devota: tentazione demoniaca estrema perché coinvolge
tutta una scelta di vita e getta in una «tenebra» che paralizza ogni «santo
desiderio» con la più radicale «disperazione».
Tutta
la complessa fenomenologia della presenza del demonio nella storia e nella vita
cristiana è un elemento essenziale della spiritualità medievale e della prima
età moderna. L’inimicus, l’antiquus hostis è ovunque: la fede, la
Bibbia, le vite dei santi, la liturgia, la Chiesa attestano la presenza dei
demoni malvagi e fanno della vita cristiana un continuo certamen contro
di essi.
Da
un punto di vista storico non sembra quindi corretto il tentativo di separare
la concreta esperienza dell’incontro con il demonio dalla riflessione filosofica
e teologica che — nei vari contesti culturali — ha inteso darne una
giustificazione e sistemazione razionale, perché questa non avrebbe motivo né
oggetto senza quella esperienza.
Le
manifestazioni dei demoni, creature anch’esse di Dio, non appartengono all’immaginario
— astratta categoria storiografica se non è storicizzata — ma a una realtà
quotidianamente esperita e razionalmente dimostrata all’interno di un universo ove
fra Dio e gli uomini debbono esistere, nella scalarità ontologica delle
creature, degli esseri spirituali intermedi, gli angeli, che, non po tendo
rimanere otiosi, svolgono varie funzioni in rapporto agli esseri a loro inferiori,
secondo la posizione che occupano nel creato.
La
notazione di Étienne Gilson che non si può omettere nel sistema di Tommaso d’Aquino
l’angelologia (che non è di ordine teologico ma filosofico) senza
«compromettere gravemente l’equilibrio del sistema», è vera per tutta la
speculazione medievale.
Le tentazioni
più pericolose
sono quelle
che arrivano al profondo dell’anima
Dubbi creati per far inciampare il fedele
nel laccio della confusione
Lo stesso deve dirsi per la demonologia, dato che i
demoni sono creature angeliche. L’azione degli angeli buoni e malvagi si svolge
secondo un preciso parallelismo, richiesto dall’ordine stesso del creato voluto
da Dio: «gli angeli in ordine di natura stanno tra Dio e gli uomini. Ma la
disposizione della provvidenza divina vuole che il bene degli esseri inferiori
venga procurato per mezzo degli esseri superiori. Ora,
il bene dell’uomo viene procurato dalla divina provvidenza in due maniere. Primo,
direttamente inducendo al bene e allontanando dal male: tuttociò viene compiuto
come si deve per mezzo degli angeli buoni. Secondo, indirettamente, in quanto
cioè si permette che uno sia tentato, perché si eserciti nel bene per mezzo
della lotta contro ciò che è contrario al bene. Ed era conveniente che questo bene
fosse procurato agli uomini per mezzo degli angeli cattivi, affinché i demoni
dopo il peccato non diventassero del tutto inutili all’ordine della natura. Per
questo ai demoni spettano due luoghi di pena. Uno a motivo della loro colpa: e
questo è l’inferno. L’altro invece adatto per tentare gli uomini: e a tale
scopo è loro dovuta l’aria caliginosa. Però questo loro impegno per la salvezza
degli uomini durerà fino al giorno del giudizio: quindi il ministero degli angeli
e le prove dei demoni dureranno fino a quel momento. Perciò fino a quel tempo
gli angeli continueranno ad essere inviati qua da noi, e i demoni resteranno
nella nostra aria caliginosa per tentarci: sebbene non pochi di essi siano di
già ora nell’inferno per tormentare quelli che indussero al male; a quel modo che
non pochi angeli buoni sono in cielo con le anime sante. Ma dopo il giorno del giudizio tutti i cattivi, tanto
uomini che diavoli, saranno collocati nell’inferno; i buoni invece nel cielo».
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