30 de abril de 2013
Udienza del Pontefice al presidente dello Stato d’Israele - Intervista al presidente dello Stato d’Israele Shimon Peres
Udienza del Pontefice al presidente dello Stato d’Israele
mercoledì 1 maggio 2013 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 1
Nella mattina di martedì 30 aprile, nel Palazzo
Apostolico vaticano, Papa Francesco ha ricevuto in udienza Shimon Peres,
presidente dello Stato d’Israele, che ha incontrato successivamente il
segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, accompagnato dal segretario per
i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti.
Durante
i cordiali colloqui è stata affrontata la situazione politica e sociale del
Medio Oriente, dove perdurano non poche realtà conflittuali. Si è auspicata una
pronta ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi affinché, con
decisioni coraggiose e disponibilità da ambedue le parti, nonché con il
sostegno della comunità internazionale, si possa raggiungere un accordo rispettoso
delle legittime aspirazioni dei due popoli e così contribuire risolutamente
alla pace e alla stabilità della regione. Non è mancato un riferimento all’importante questione
della città di Gerusalemme. Si è manifestata particolare preoccupazione per il
conflitto che affligge la Siria per il quale si è auspicata una soluzione
politica, che privilegi la logica della riconciliazione e del dialogo.
Sono state affrontate anche alcune questioni
riguardanti i rapporti tra lo Stato d’Israele e la Santa Sede, e tra le autorità
statali e le comunità cattoliche locali. Sono stati apprezzati infine i
notevoli progressi fatti dalla Commissione bilaterale di lavoro, impegnata nell’elaborazione
di un accordo su questioni di comune interesse, per il quale si auspica una
pronta conclusion.
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Intervista al presidente dello Stato d’Israele
Shimon Peres
Dialogo per una regione
formata da minoranze
mercoledì 1 maggio 2013 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 3
di LUCA M. POSSATI
Dall’attuale situazione dello Stato di Israele, agli
sforzi per giungere alla pace con i palestinesi; dal ruolo delle organizzazioni
internazionali, alle relazioni tra cristiani ed ebrei. Sono
questi alcuni dei temi toccati dal presidente israeliano, Shimon Peres, nell’intervista
rilasciata in esclusiva al nostro giornale.
A
oltre quaranta anni dalla nascita dello Stato d’Israele, crede che il progetto originario
dei padri fondatori sia ancora vivo? Che tipo di Paese è, oggi, Israele?
Non
tutto ciò che abbiamo sognato è stato realizzato, ma quanto è stato realizzato
ha superato di gran lunga le nostre aspettative. Sessantacinque anni fa, quando
venne fondato lo Stato d’Israele, non avremmo mai immaginato di potere trasformare
una terra arida e inospitale in un leader mondiale nell’ambito dell’agricoltura,
dell’alta tecnologia, della medicina, della ricerca sul cervello e di tanto
altro ancora. Abbiamo fatto pace con i nostri due vicini più grandi, l’Egitto e
la Giordania, e desideriamo completare la pace con i palestinesi. Non penso che
fossero in tanti a crederci. Ma abbiamo fatto tutto questo e anche di più.
Israele è diventato un Paese basato sulle risorse umane piuttosto che su quelle
naturali. Siamo arrivati nella terra promessa e desideriamo farne una terra di
promessa; comportarci conformemente ai dieci comandamenti e costruire la nostra
vita sulla scienza e sulla pace.
Quale può essere il contributo degli israeliani in
una prospettiva di dialogo con i palestinesi in vista di una soluzione pacifica
del contenzioso?
Dovremmo
completare il processo di pace tra noi e i palestinesi. Abbiamo già compiuti
validi progressi, abbiamo offerto loro uno Stato indipendente e una vita in
pace e cooperazione da buoni vicini. Di fatto, la soluzione è già evidente: due
Stati per due popoli; uno Stato ebraico, Israele, e uno Stato arabo, la
Palestina. Siamo partiti dagli Accordi di Oslo, e ora dobbiamo superare il divario
che ancora rimane. Ciò è possibile, e il modo per farlo è attraverso il dialogo
e i negoziati, in spirito di tolleranza, coesistenza e pace tra i popoli.
Quale,
a suo avviso, può essere attualmente il ruolo di istanze internazionali quali
le Nazioni Unite?
Le
Nazioni Unite e altri organismi internazionali possono aiutare a stabilizzare
il Medio Oriente, che sta vivendo importanti cambiamenti. Ritengo che i
problemi del Medio Oriente siano esistenziali più che politici. La gente ha
bisogno di cibo, di lavoro, di educazione, di assistenza sanitaria. La comunità
internazionale può avere un profondo impatto in questi ambiti, aiutando i Paesi
della regione a trovare soluzioni.
La crisi siriana è sempre più grave. Qual
è l’impatto degli aspetti umanitari e quali sono le possibilità d’intervento della
comunità internazionale?
Quella
in Siria è anzitutto una crisi umanitaria. È drammatico assistere allo
spargimento di sangue. Il popolo della Siria merita un futuro più luminoso,
basato sulla libertà, l’indipendenza, i diritti umani e la prosperità. Ritengo che le Nazioni Unite dovrebbero dare alla
Lega Araba un mandato per inviare un contingente di caschi blu per stabilizzare
il Paese e consentire la formazione di un Governo di transizione. La Siria è un
problema arabo, e la soluzione dovrebbe essere una soluzione araba, con il
sostegno del mondo intero, compreso Israele. Il pericolo
costituito dalle armi siriane, inoltre, è tra i più gravi nel mondo.
Anche
Israele sta subendo gli effetti della crisi economica mondiale. Come trovare
una via d’uscita all’attuale congiuntura negativa?
Israele
ha affrontato la propria crisi economica in modo positivo. La via di uscita
dalle attuali difficoltà economiche, non solo per noi, ma per il mondo intero,
è quella che passa per la scienza e la tecnologia, la ricerca e lo sviluppo
dell’alta tecnologia. Stiamo
vivendo in un mondo nuovo, ma ancora gestito con una mentalità vecchia. Oggi
il mondo è globale, e penso che molte soluzioni si trovino proprio dentro il mondo
globalizzato.
Qual
è lo stato delle relazioni tra cattolici ed ebrei dopo l’impulso ricevuto durante
il pontificato di Benedetto XVI, con i suoi viaggi in Vicino Oriente, e quali
prospettive si possono ancora aprire, allargando il dialogo stesso ai musulmani?
Le
relazioni tra Israele e la Santa Sede e tra il popolo ebraico e i cattolici non
sono mai state così buone negli ultimi due millenni. Continuano a migliorare
costantemente, e spero che la mia visita e una futura visita da parte di Papa
Francesco in Israele possano servire a rafforzarle ulteriormente. Il dialogo è fondamentale per ridurre le tensioni e
migliorare la comprensione. Non importa se si tratta di ebrei, cristiani, musulmani
o di credenti di altre religioni. C’è già un dialogo, ma certamente andrebbe
allargato. Il Medio Oriente è costituito più da minoranze che
da maggioranze. Dovremo rispettarle
tutte; la gente ha diritto non solo all’uguaglianza, ma anche alla diversità. È
questa la democrazia ai giorni nostri: l’uguale diritto a essere diversi.
Quali sono le responsabilità dei credenti e degli
uomini di buona volontà di fronte all’intolleranza crescente verso le minoranze
religiose
Le persone sono libere di avere credenze diverse o
di non averne affatto, ma devono rispettare gli altri. È questo un elemento
fondamentale dei nostri valori. Il razzismo e l’intolleranza sono una malattia.
La nostra responsabilità è di essere tolleranti verso gli altri, di mostrare
loro amore, compassione e fratellanza. Papa Francesco è un esempio
straordinario di questo amore per gli altri. Provo profondo rispetto per lui.
Nel suo dialogo con il rabbino Abraham Skorka afferma che la torre di Babele è
stata un errore perché coloro che l’hanno costruita volevano
essere il più possibile vicini al cielo, ignorando però la gente. Il Papa suggerisce
che dobbiamo essere modesti, rispettare il cielo ma anche amare le persone e
tutti i loro interlocutori nel mondo presente.
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