15 de abril de 2018

"On Consulting…". Sulla consultazione dei fedeli in questioni di dottrina



Settimo Cielodi Sandro Magister
Settimo Cielo


"On Consulting…". Sulla consultazione dei fedeli in questioni di dottrina

Newman
di Walter Brandmüller
*
"On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine". È questo il titolo di un famoso saggio del 1859 del beato John Henry Newman, che intendo dare anche alle seguenti osservazioni. Domanderò pertanto quale spazio, quale peso vada dato alla voce dei fedeli nelle questioni di dottrina. E porrò questa domanda di fronte a una crisi della fede che oggi scuote la Chiesa nel profondo.
Parlando di laici, qualcuno potrebbe pensare che s'intenda contrapporre qui esperti e "laici", laddove questi ultimi meno sono "afflitti" da conoscenza di causa, più facilmente fanno sentire la propria voce anche sulle questioni più complesse, basti pensare al problema del cambiamento climatico.
Ma non è di questo che si tratta qui e adesso.
Nel presente contesto, "laico" non designa un non-esperto in materia di teologia, bensì un cristiano battezzato, confermato, che però non ha ricevuto il sacramento dell’ordine. Domanderò quindi quale ruolo compete ai “laici” nell'interpretazione, spiegazione, proclamazione, formulazione della dottrina della fede; e, non ultimo, porrò tale domanda sullo sfondo della situazione attuale. Anche la Commissione teologica internazionale, presieduta dal cardinale Müller, nel 2014 ha pubblicato un importante documento a questo riguardo, che verrà preso in considerazione.
I
Diamo però prima uno sguardo alla storia. Di fatto, vi troviamo non poche testimonianze del ruolo di rilievo della testimonianza di fede dei laici. È sempre il cardinale Newman a portare il nostro sguardo sulla crisi dell’arianesimo del IV secolo. In quella situazione, in cui si trattava della uguale natura della divinità di Gesù con il Padre e la cui posta in gioco era di fatto l’essere o il non essere della Chiesa, i vescovi fallirono abbondantemente. "Parlarono in maniera non univoca, l’uno contro l’altro; dopo Nicea, per quasi 60 anni non ci fu una testimonianza ferma, costante, coerente".
Mentre l’episcopato era destabilizzato e diviso, "la tradizione divina, affidata alla Chiesa infallibile, fu proclamata e mantenuta molto più dai fedeli che dall’episcopato". Newman afferma: "Ma io sostengo che, in quel tempo di grandissima confusione, il sommo dogma della divinità del nostro Salvatore sia stato annunciato … e custodito molto più dalla 'Ecclesia docta' che dalla 'Ecclesia docens'; che la totalità dell’episcopato come corpo non è stato fedele al suo ministero, mentre il laicato nel complesso è rimasto fedele alla sua grazia battesimale…" (cfr. p. 271d).
Saltiamo poi le testimonianze analoghe nel Medioevo e all’inizio dell’età moderna, che parlano di preferenza della testimonianza di fede dell’intera Chiesa, senza distinguere tra titolari del magistero e fedeli. Vi si parla volentieri della "infallibilitas in credendo", ovvero della infallibilità passiva della Chiesa, che non può, nella sua totalità, incorrere nell’eresia.
Il "sensus fidei" dei credenti, però, non agisce solo quando si tratta di respingere l’errore, ma anche nella testimonianza della verità.
Esempi molto significativi dell'importanza che alcuni papi hanno attribuito alla testimonianza di fede dei laici, li troviamo negli ultimi due secoli, e più precisamente nel contesto dei dogmi mariani del 1854 e del 1950.
In entrambi i casi, prima della loro definizione tutti i vescovi furono invitati a verificare e a riferire come loro stessi, insieme al clero e ai fedeli, si ponevano dinanzi a tale intenzione. In tal modo, sia Pio IX sia Pio XII si accertarono della convinzione di fede viva nella Chiesa riguardo alle due verità mariane. L’approvazione dei due dogmi fu – salvo alcune rare eccezioni – generale. "Securus iudicat orbis terrarum". Già Agostino aveva contrapposto questa convinzione alle eresie del suo tempo.
Evidentemente sia Pio IX sia Pio XII erano consapevoli del peso che la testimonianza dei fedeli ha anche rispetto al supremo maestro della fede, facendovi poi di fatto espresso riferimento nelle rispettive bolle di definizione dei dogmi.
II
Si tratta dunque del "sensus", del "consensus fidei", in virtù del quale la testimonianza dei fedeli ha un proprio peso nella conservazione, nell’approfondimento e nella proclamazione della verità di fede rivelata.
Quando il cardinale Newman dice che si tratta, da parte del magistero, di un "consulting" dei fedeli, si potrebbe avere l’impressione che intenda una sorta di sondaggio, addirittura un plebiscito. Naturalmente questo è impossibile. La Chiesa non è una società costituita democraticamente, bensì il "Corpus mysticum" del Cristo risorto e glorificato, con il quale e nel quale i fedeli sono uniti come le membra di un corpo, quasi a formare un organismo soprannaturale. Chiaramente per questo valgono leggi diverse da quelle sociologiche e politiche; a emergere qui è la realtà della grazia.
Come insegna la fede, per mezzo del sacramento del battesimo alla persona viene infusa la grazia santificante, che è una realtà ontologica soprannaturale e quindi rende l’uomo santo, giusto e gradito a Dio. Con la grazia santificante – si potrebbe anche dire grazia giustificante – vengono infuse anche le tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità. Fede, speranza e carità sono "habitus", predisposizione dell’anima, che rendono quest’ultima capace di agire, di comportarsi conformemente.
Un modo in cui la virtù teologale della fede diventa efficace è, tra le altre cose, il "sensus fidei" dei fedeli.
Questa efficacia può, positivamente, rendere capaci di una visione più profonda della verità rivelata, di una comprensione più chiara e di una professione più forte.
Negativamente, invece, il "sensus fidei" agisce come una sorta di sistema immunitario spirituale, che fa riconoscere e rifiutare istintivamente ai fedeli qualsiasi errore. Su questo "sensus fidei" poggia dunque – a prescindere dalla promessa divina – anche l’infallibilità passiva della Chiesa, ovvero la certezza che la Chiesa, nella sua totalità, non potrà mai incorrere in una eresia.
Di fatto, al numero 12 della costituzione "Lumen gentium", il concilio Vaticano II insegna: "La totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2, 20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando 'dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici' mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, […] il popolo di Dio […] con retto giudizio penetra in essa [fede] più a fondo e più pienamente l'applica nella vita”.
Pertanto, il consenso dei fedeli e la manifestazione dello stesso hanno un’importanza non irrilevante.
III
Ora, indubbiamente nella storia della Chiesa si sono verificati casi del genere. Così è stato, per esempio, con il movimento cosiddetto della Pataria in Nord Italia, che, vicino ai tentativi di riforma romani, nella seconda metà del XII secolo si sollevò con forza contro l’investitura dei laici, la simonia e il concubinato sacerdotale. Poi ci furono le masse di fedeli che nel 1300 si misero in cammino per raggiungere le tombe degli apostoli, inducendo papa Bonifacio VIII a istituire l’Anno Santo e a esporre la dottrina dell’indulgenza con la bolla "Antiquorum habet fida relatio". Non va poi dimenticato quanto è stato importante l’ultramontanismo del XIX secolo per i dogmi del concilio Vaticano I.
Ma l’esperienza della storia insegna anche che la verità non sta necessariamente con la maggioranza, con i grandi numeri.
Che cosa si sarebbe dovuto dire, infatti, quando, per esempio, il nunzio apostolico Girolamo Aleandro riferì dal Reichstag di Worms del 1521 che nove decimi dei tedeschi avevano gridato "Lutero" e "abbasso la curia romana"? Che cosa si deve dire quando oggi le nostre comunità parrocchiali applaudono forte un sacerdote che nell’omelia ha annunciato le sue imminenti nozze? Che cosa è accaduto quando il Katholikentag tedesco del 1968 ha reagito con proteste eccessive, addirittura con odio, all’enciclica "Humanae vitae"?
Davvero in tali casi era – ed è – all’opera il "sensus fidei", il "consensus fidelium", alimentato dalla virtù teologale? Appare evidente, in questi e in altri casi analoghi, che il "consensus fidei fidelium" non può essere paragonato alla "volonté generale" di Rousseau.
Pertanto, quando dei cattolici en masse considerano legittimo risposarsi dopo il divorzio, la contraccezione o altre cose simili, ciò non è una testimonianza di massa a favore delle fede, bensì un allontanamento di massa dalla stessa.
Il "sensus fidei" non è un’entità che si può determinare democraticamente, in modo demoscopico. L'unica domanda è in che cosa la testimonianza di massa si distingue dall’allontanamento di massa.
Così, già san Giovanni Paolo II ha sottolineato la necessità di distinguere attentamente tra "opinione pubblica" e "sensus fidei fidelium".
Anche la Commissione teologica internazionale a questo riguardo dice con grande chiarezza: "È evidente che non è possibile identificare in modo puro e semplice il "sensus fidei" con l’opinione pubblica o della maggioranza. Non sono in alcun modo la stessa cosa" ("Il 'sensus fidei' nella vita della Chiesa", n. 118). Ciò vale anche per l’opinione pubblica o della maggioranza all’interno della Chiesa. "Spesso nella storia del popolo di Dio non è stata la maggioranza, ma piuttosto una minoranza a vivere autenticamente la fede e a renderle testimonianza […]. È dunque particolarmente importante discernere e ascoltare le voci dei 'piccoli che credono' (Mc 9, 42)“ (ibidem).
È straordinario ciò che segue: "L’esperienza della Chiesa dimostra come alle volte la verità della fede sia stata conservata non dagli sforzi dei teologi né dall’insegnamento della maggioranza dei vescovi, ma nel cuore dei credenti" (ibid., n. 119).
Un esempio particolare di questo è dato dalla confusione ariana intorno al concilio di Nicea già ricordata da Newman, dove perfino i sinodi dei vescovi o sostenevano l’eresia, o la diffondevano. Lo stesso lo si potrebbe osservare pensando alle opinioni sostenute oggi dai consigli diocesani, pastorali e di altro genere istituiti nel periodo postconciliare. È forse un po’ lontano dalla realtà quando il citato documento "Sensus fidei" li definisce in generale degli “strumenti istituzionali” per valutare il "sensus "fidelium" (ibid., n. 125).
Di fatto, come già dimostra l’esempio citato dei sinodi post-niceni, possono cadere nell’errore. Diventa allora ancor più essenziale il discernimento.
Tale necessità viene evidenziata dal documento "Il 'sensus fidei' nella vita della Chiesa" del 2014: "Occorre esaminare come discernere e identificare le sue [del 'sensus fidei'] manifestazioni autentiche. Un tale discernimento è richiesto in particolare nelle situazioni di tensione, nelle quali è necessario distinguere il 'sensus fidei' autentico dalla semplice espressione dell’opinione comune, di interessi particolari o dello spirito dei tempi" (n. 87).
Ancora una volta si può fare riferimento a J. H. Newman, che nel suo "Essay on the Development of Christian Doctrine" propone un elenco di criteri che rendono possibile distinguere lo sviluppo organico-legittimo della dottrina dall’errore. Basti ricordare qui l'indispensabile mancanza di contraddizione rispetto alla tradizione autentica.
E dunque, questo documento sviluppa anche dei criteri, ovvero "le disposizioni necessarie a partecipare in modo autentico al 'sensus fidei'" (ibid., n. 73). Ciò significa che non tutti coloro che si definiscono cattolici, possono avanzare la pretesa di essere presi sul serio come organo di questo "sensus fidei".
In breve: "Una partecipazione autentica al "sensus fidei" richiede la santità. […] Essere santi significa fondamentalmente […] essere battezzati e vivere la fede nella potenza dello Spirito Santo" (ibid., n. 99). Viene così definito un requisito molto alto.
*
Una volta date queste premesse, occorre di fatto tener conto di ciò che il concilio Vaticano II insegna al numero 12 di "Lumen gentium": "È necessario che i cattolici siano pienamente coscienti di avere quella vera libertà di parola e di espressione, che si fonda sul 'senso della fede' [il 'sensus fidei'] e sulla carità" ("Lumen gentium" 12; "Il 'sensus fidei' nella vita della Chiesa", n. 124). Perciò anche il canone 212 § 3 stabilisce: "In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l'integrità della fede e dei costumi".
*
Ora, però, si pone la domanda su come discernere il "sensus fidelium" autentico, e quindi teologicamente rilevante.
Nella fase preparatoria dei sinodi dei vescovi, per esempio, sono stati distribuiti dei questionari a tal fine. Non sono in grado di giudicare fino a che punto queste azioni siano state svolte in maniera professionale, ovvero tenendo conto dei metodi sviluppati dalla moderna demoscopia. È però evidente che tali questionari giungano molto più facilmente ai quadri delle organizzazioni cattoliche che alla normale comunità dei fedeli. C’era quindi da aspettarsi che i risultati della consultazione più che rispecchiare la vera opinione pubblica del popolo dei fedeli fossero influenzati dal pensiero promosso dalle singole associazioni, e così via.
Un altro problema è costituito dalla scelta, ovvero dalla formulazione delle domande proposte. In tal modo era facile poter manipolare i risultati. È alquanto dubbio che ciò consenta di sperimentare il vero "sensus fidei fidelium".
Il "sensus fidei fidelium", ritengo, si esprime in modo molto più autentico attraverso dichiarazioni spontanee. Un esempio molto evidente di ciò lo offrono le manifestazioni di massa "Manif pour tous" in Francia.
È degna di nota anche la partecipazione di centinaia di migliaia di persone alle marce per la vita.
Infine, quasi un milione di cattolici hanno indirizzato al Santo Padre una petizione riguardo alle questioni sorte con "Amoris laetitia", seguiti da oltre 200 eminenti studiosi da tutto il mondo.
Sono queste le forme in cui si manifesta oggi il "sensus fidei", l’istinto di fede del popolo credente.
Sarebbe ora che il magistero prestasse la dovuta attenzione a questa testimonianza di fede.
*
Nell'opera citata all’inizio, "On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine", J. H. Newman ha scritto: “Dunque non credo affatto che potranno mai ritornare tempi come quelli degli ariani”.
Oggi staremmo tutti meglio se avesse avuto ragione.
(Roma, 7 aprile 2018, convegno "Chiesa cattolica, dove vai?")

No hay comentarios: